Con questa nuova edizione dell’inerfaccia di NERTO (che qui nel quartier generale abbiamo denomintato GIUBILEO) inauguriamo un nuovo spazio dove ospitaremo opere che secondo noi meritano di essere viste: lo sfondo di NERTO è un’anti copertina che fa da background a tutto il sito e che si svela completamente soltanto a coloro che si spingono fino in fondo.
La foto che abbiamo scelto per il primo mese di vita fa parte di Italy & Italy, progetto che nasce dall’incontro tra Pasquale Bove, fotografo di cronaca, e Luca Santese, curatore e cofondatore di Cesura.

Le foto che compongono il libro sono intrise di quella socialità che ha connotato l’Italia (e la riviera romagnola in particolare) tra gli anni ’80 e ’90, dalle feste in discoteca alle sagre di paese in stile “festa de l’Unità” (prima che iniziasse a frequentarle Umberto Bossi).

Ci sono piaciute talmente tanto che abbiamo pensato di fare qualche domanda all’editor del libro, Luca Santese, che le ha selezionate.
Questo è quanto.

– Come hai scoperto le fotografie di Pasquale Bove? O sono loro che hanno scoperto te? Insomma come è nato questo progetto?

Qualche anno fa a Cesura pensavamo ad un progetto che parlasse di Italia. Venivamo da un lavoro collettivo sulle “primavere arabe” e volevamo fare la stessa cosa sul nostro territorio, dove c’era e c’è ancora parecchio da raccontare. Conoscendo Pasquale, che è uno dei fotoreporter più attivi di Rimini e provincia, rispettato e conosciuto su tutto il territorio, gli ho chiesto di poterlo seguire nel suo lavoro. Ho girato con lui per alcune settimane fotografando quello che lui fotografa quotidianamente da trent’anni ma quell’idea(le) di Rimini che cercavo, sembra essersi dissolto. Ma una sera, mentre Pasquale selezionava le foto da inviare al giornale, ho notato che nell’archivio digitale aveva alcune foto della Rimini degli anni Novanta. Gli ho chiesto di vederne altre e poco dopo mi sono ritrovato in una stanza enorme con decine di schedari pieni di fotografie. Non ne sono più uscito, avevo trovato il modo di raccontare una città nel massimo della sua esplosione identitaria e forse anche il modo di parlare di un epoca e di un’intera nazione.

 

– Il titolo Italy&Italy da dove viene?

Viene dal nome del primo fast food Riminese che portava proprio il nome Italy&Italy. Me lo sono ritrovato davanti guardando le foto di Pasquale e mi è sembrato immediatamente capace di condensare gli intenti del volume e le sue caratteristiche. Parlare di Italia, farlo con una grande quantità di immagini e con una logica di ripetizione (archivio). Inoltre quel fast food, nel momento della sua espansione, pare sia stato ritenuto un pericolo imminente da McDonald che se l’è comprato e lo ha sistematicamente convertito in quello che ancora oggi è: un McDonald.

– Se avessimo ancora un Italy&Italy in ogni luogo dove oggi sorge un McDonald’s, pensi che l’Italia sarebbe un paese migliore di quello che è? 

No, ci sarebbe un fast food che fa spaghetti scotti al pomodoro crudo invece che panini lessati. Una mangiatoia rimane mangiatoia, al di là della bandiera che ci incolli. Il fast food è già “fine dell’Italia.” Non ho mai mangiato da Italy&italy ma posso ragionevolmente credere che il loro obbiettivo non fosse fare qualità ma quantità allo scopo di sfamare orde di turisti stranieri e non. Oggi preferirei ci fosse una trattoria o una piadineria che faccia piadine come devono esser fatte e che non le venda come se fossero gioielli.

– Negli anni ’90 in Italia debuttava un debole Paolo Vallesi mentre negli Stati Uniti Marilyn Manson cominciava ad asfaltare il post-moderno per il grande pubblico. Col senno di poi secondo te era già chiaro che il nostro destino era lasciarci omologare dal made in USA? 

Il bombardamento televisivo ha fatto e continua a fare i suoi danni e chi gestiva e gestisce le televisioni non si è certo limitato allo scopo di salvaguardare la nostra identità. Questa storia è iniziata quando il consumo è stato diffuso come valore assoluto e i maestri del consumo (vuoto) pneumatico erano un modello perfetto e riuscito da imitare. Avessero invitato Marilyn Manson a Sanremo con Vallesi nel 92, magari oggi invece di comprarci le Nike ci compravamo le calze a rete.

– Ci scegli una foto su tutte quelle che hai selezionato e ce la racconti?

Ho scelto una delle foto meno iconiche e meno esplicite. Un’apparizione del Conte Semenzara che fa la spesa al Conad. Illusoria rivincita proletaria del nostro Fantozzi interiore.

– Italy&Italy: “tutto cambia” (come Paolo Brosio nella foto) o piuttosto “cambiare tutto per non cambiare niente” (come Paolo Brosio nella foto)?

Cambia eccome. Quella che era identità nazionale si degrada costantemente nell’identità globale mediatica. Manteniamo strati di identità italiana d’accatto (stereotipata come molte delle immagini che condiscono Italy&Italy) ma riconosciamo sempre meno quelle che erano (e sono ancora ma meno propagandate) le nostre virtù nazionali. Italy&Italy è una fetta illustrata del cambiamento irreversibile. Abbiamo eletto a idoli la personificazione dei nostri istinti più beceri. Interiori animali ignobili guidano intere generazioni al giudizio del loro mondo. Spero almeno che un giorno mio figlio o alla peggio mio nipote mi insulti chiedendomi come abbiamo fatto a ridurci cosí e rimanendo sostanzialmente indifferenti.

Le foto che compongono il libro sono piene di socialità: dalle sagre alle feste in discoteca che hanno connotato quegli anni nella riviera romagnola. E’ cambiato secondo te il modo di divertirsi e di stare insieme degli italiani?

Difficile generalizzare. Classi sociali, reddito e cultura facevano la differenza. Oggi i milionari rollano il tabacco e sono più rozzi che mai. I modelli (mediatici) cambiano e se si insegna che per divertirsi si deve fare in un modo allora i più giovani tendono ad omologarsi a ciò che considerano non omologato. Poi crescono e cedono al modello dominante e rimpiangono quell’idea di ribellione che hanno vissuto ma che spesso è stato anch’esso un modello preconfezionato e acquistato. Narcisi e ribelli diceva Pasolini pensando a come avrebbe voluto vedere i giovani che invece cedevano inermi alle logiche industriali e del consumismo. Tutto è inesorabilmente peggiorato da allora. Sarebbe bello vedere ventenni che, rifiutando modelli facili e posticci, cerchino loro identità altrove.

 

Nell’effettuare la selezione tra le 250.000 immagini provenienti dall’archivio di Pasquale Bove, ci sono scatti che hai censurato perché troppo forti per essere pubblicati o sei riuscito ad includere tutto?

Non ho applicato Censura, non volevo tutelare nessuno, anzi. Trovi foto molto esplicite all’interno del libro. Morte, sesso, droga, politici impresentabili. Il peggio abbonda. La selezione non mirava a censurare ma a concentrare una idea o una stratificazione di idee anche in diretto contrasto. È il paradosso a farla da padrone.

 

Sappiamo che non è il primo progetto in cui ti spogli dei panni del fotografo per vestire quelli dell’editor. Un po’ come se un producer cominciasse a dedicarsi a dei dj-set. Ti trovi bene in questo ruolo?

Si è già successo con Found Photos in Detroit. Ero a Detroit in veste di fotogiornalista a raccontare la crisi economica/sociale della città ma, insieme ad Arianna Arcara, ho iniziato a trovare foto abbandonate. Il nostro scopo era raccontare non fare foto. Per questo abbiamo messo da parte le nostre immagini e abbiamo deciso di utilizzare quelle ritrovate. Perché erano più efficaci, più potenti. Lo stesso vale per Italy&Italy. Volevo fotografare “un’Italia” ma quando ho visto quella di Pasquale ho riconosciuto che un lavoro così sarebbe stato possibile solo se ci avessi dedicato una vita, come Pasquale ha fatto. Oggi prolifera la produzione di fotografie e sono sempre di più tutte (profondamente) identiche. La mia iconoclastia aumenta vertiginosamente. Potrebbe essere stato un meccanismo inconscio di rifiuto. Bisognerebbe chiedere a Joachim Schmid.

– Puoi suggerirci una colonna sonora adatta per sfogliare il libro?

Mi è capitato di pensare questo libro come un lungo film di Bertolucci o Sergio Leone. Ci vorrebbe una colonna sonora intera ed in grado di attraversare i più disparati stati d’animo ma preferirei che chi guarda il libro se la scelga da sé.

 

Il collettivo di fotografi di cui sei fondatore si chiama Cesura: un momento di pausa. Ok, ma da cosa?

Cesura non è una pausa. Meglio forse un taglio, una scissione. Cerchiamo da sempre di essere indipendenti e ne paghiamo anche il prezzo. Le logiche di mercato impoveriscono i fotografi che si trovano a compilare il loro modulo delle foto del giorno aderendo più che pensando. A fatica proviamo (e ovviamente non siamo gli unici) a far si che la fotografia possa essere critica e non solo, sempre rappresentazione.

 

Hai un aneddoto della tua vita da fotografo che racconterai per il resto della tua vita?

No. Ho una particolare predisposizione alla rimozione di ricordi così detti romantici e non mi piace romanzare di quello che ho vissuto. Forse perché non mi voglio fermare a pensare a quanto è stato bello e farmi l’auto-propaganda della vita passata ma voglio invece proiettarmi in avanti dove ancora non posso ricordare.

 

– Ci fai qualche nome di fotografi emergenti da tenere d’occhio?

Mi stai facendo delle domande alle quali sto rispondendo sinceramente e potrei facilmente risultare odioso. Ogni tanto mi guardo intorno in fotografia ma i miei interessi (pur io producendo fotografie costantemente) sono altrove. Consiglio di tenere d’occhio più i maestri del passato (tutti, non solo i fotografi) e meno le campagne ADV.

 

ECCO LO SFONDO DEL MESE

150esimo anniversario del primo stabilimento balneare Italy&Italy Foto di foto Pasquale Bove Cesura Publish

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