Appunti per una strategia di resilienza culturale

Il concetto di “città resiliente” è emerso negli ultimi decenni in risposta alle nuove sfide che le città sono chiamate ad affrontare, tra cui quelle poste dalla crisi economica e sociale. In termini generici, una città si definisce resiliente quando è capace non solo di reagire ai mutamenti esterni, adattandosi ad essi, ma anche di prevenirli o di sfruttarli come opportunità.

La resilienza urbana può essere declinata in una molteplicità di dimensioni, ognuna delle quali ha le proprie “regole del gioco”, ovvero un certo sistema di attori e di variabili, di vulnerabilità e punti di forza, dati dal contesto di riferimento.

Se ci soffermiamo sull’ambito culturale, ci accorgiamo subito che la sfida della resilienza è particolarmente ardua – la crisi morde feroce un settore implacabilmente affetto da quello che gli economisti chiamano sindrome di Baumol1 e i finanziamenti pubblici per la cultura si contraggono mentre quelli privati stentano a decollare – e la posta in gioco altissima – la cultura è il collante delle relazioni sociali rese deboli da contesti depauperati, è motore di inclusione, volano economico anticiclico e, last but not least, fattore imprescindibile per il benessere individuale.

Ad un primo sguardo, l’ecosistema culturale di Ancona sembra capace di reggere la sfida. Aumentando il livello di dettaglio ci accorgiamo però che, analogamente a quanto avviene in altre province di dimensioni simili, il comparto musicale, legato soprattutto ai concerti e alla nightlife, sta accusando pesantemente gli shock e gli stress della contemporaneità – e ha bisogno di essere attenzionato.

Le ragioni sono molteplici: il sistema della musica è cambiato e si sono affermate nuove forme di fruizione (e dunque di produzione); manca una strategia di valorizzazione musicale a livello nazionale, regionale e locale; le norme sono sempre più rigide (e la loro osservanza sempre più esosa); agli operatori sono richieste competenze di livello sempre maggiore. Tutto ciò si è tradotto in una progressiva desertificazione, sino alla quasi totale assenza di locali idonei ad ospitare eventi live/clubbing di un certo rilievo. Quasi un paradosso, nel capoluogo di una regione che fa della cultura – a ragione! – il proprio genius loci.

Ma è da qui che bisogna ripartire, suggerisce la resilienza.

Si dirà: è una questione del privato. Tradotto: l’imprenditore, in possesso di adeguate risorse e competenze, apre il proprio locale e pone fine al problema. Almeno per un po’.

Siamo sicuri che questa sia una strategia?

La partita della resilienza culturale, ovvero della capacità del sistema-cultura di reagire agli shock e agli stress della contemporaneità, è complessa e cruciale per il futuro di una città, tanto da non poter essere ridotta ad una questione meramente privata: schiacciato dalle dinamiche sopra citate, esacerbate dalla logica del profitto (nel migliore dei casi per mera questione di sopravvivenza), viene da chiedersi quale tipo di offerta culturale il privato sarebbe in grado di prospettarci, e a quale prezzo.

Noi di Nerto ci siamo presi molto a cuore il tema e, sgombrato il campo da soluzioni semplicistiche, abbiamo provato ad affrontare il problema della (ormai) cronica carenza in città di spazi culturali destinati alla musica e, più in generale, alla nightlife, in maniera propositiva e sistemica.

Prerequisito fondamentale, dando un’occhiata alle best practise disseminate qua e la per l’Italia, appare la costituzione di una comunità di partner che condividono la vision di uno spazio culturale ibrido (dove si produce e consuma cultura), attivo per i due terzi del giorno, accogliente e inclusivo, capace di esprimere una progettualità innovativa e di collaborare con gli altri attori dello spazio urbano e con la Pubblica Amministrazione. Che, dal canto suo, potrebbe facilitare il processo, stimolando l’emergere di nuove e inedite interazioni pubblico-privato.

Il recupero degli spazi urbani sottoutilizzati o dismessi, da destinare ad attività culturali previa concessione in comodato d’uso gratuito2 agli operatori culturali del territorio con un progetto di valorizzazione chiaro in testa, rappresenta un’altra importante leva a disposizione delle Amministrazioni per dare vigore alle istanze locali di produzione e consumo culturale. Sottoposti ad un graduale recupero che vede protagonista la comunità di riferimento, questi vuoti urbani vengono così trasformati in “beni comuni” di cui tutta la comunità può tornare a godere3. Strategie diverse, ma sulla stessa linea che vede la Pubblica Amministrazione nel ruolo di facilitatore di processi, possono ispirarsi ai principi dell’uso temporaneo degli spazi, al baratto amministrativo, ai Patti di collaborazione o ai Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni4.

Gli operatori, dal canto loro, sono chiamati a perseguire una strategia di sostenibilità economico-finanziaria dello spazio in cui agiscono che poggia su di un funding mix differenziato, che diversifica il rischio mettendo a sistema pubblico e privato: finanziamenti locali, nazionali e sovranazionali, vendita di beni e servizi, proventi (o risparmi!) derivanti da sinergie e partnership con altri operatori del territorio. 

Tutto ciò senza rinunciare alla propria mission e senza snaturarsi, ma anzi costruendo e alimentando, giorno dopo giorno, un dialogo con il proprio pubblico, prevedendo anche forme di co-progettazione e co-design dell’offerta culturale, in linea con i principi dell’audience development e engagement che si vanno affermando ovunque (ebbene sì: anche in Italia).

L’obiettivo primario è quello di costruire e intercettare reti lunghe, per dare vita ad un ecosistema locale della musica e dell’entertainment intelligente in grado di fronteggiare le sfide che vengono dall’esterno.

E’ questa la sfida della resilienza culturale. E’ questa la sfida che Ancona non deve perdere.

  1. Il settore dello spettacolo dal vivo è caratterizzato da un particolare fenomeno, detto “sindrome di Baumol” dal nome dell’economista che per primo ne definì chiaramente i caratteri. La legge di Baumol indica una tendenza all’aumento dei costi di produzione nei settori nei quali la tecnologia produttiva non può essere migliorata o aumentata senza snaturare il prodotto. In altri termini, se i settori produttivi tradizionali possono avvantaggiarsi della tecnologia per ridurre la (costosa) componente umana, il settore delle performing arts, almeno per quanto riguarda la componente artistica, non può in alcun modo ridurre il numero di addetti impiegati e per di più si trova a dover far fronte al continuo, e necessario, innalzarsi degli importi delle retribuzioni.
  2. E’ il percorso seguito, ad esempio, dal Comune di Ferrara con l’ex Caserma dei Vigili del Fuoco, abbandonata dal 2004 e concessa all’Associazione Grisù (oggi Consorzio “Factory Grisù”) che, a seguito di un graduale processo di riqualificazione, ne ha fatto la factory della cultura e della creatività (https://www.factorygrisu.it)
  3. E’ quanto auspicano anche CSV Marche e ANCI Marche nell’accordo di programma sottoscritto nel gennaio 2018, con cui si sono impegnati “a garantire un’azione di sostegno, assistenza e tutoraggio per quei Comuni marchigiani intenzionati ad elaborare e realizzare percorsi di recupero, cura e gestione dei cosiddetti “beni comuni”.
  4. Labsus.org ha da poco pubblicato un nuovo prototipo di Regolamento, adottato da oltre 250 Comuni italiani, scaricabile al link: http://www.labsus.org/wp-content/uploads/2017/04/PROTOTIPO-2018-LABSUS.pdf.