Montoya
Otun
ZZK Records
Oggi l’universalità di Internet rende possibili l’appropriazione, il campionamento e la mercificazione di stili musicali tradizionali e indigeni da ogni parte del pianeta, un tempo inaccessibili. Tuttavia, questo significa anche che tali stili possono essere celebrati e onorati, in modo da poter riflettere la natura umana sia nel ventaglio delle nostre peculiarità individuali, sia in ciò che ci accomuna. L’artista Jhon William Castaño Montoya, in arte Montoya, che ha recentemente firmato con la ZZK Records, personifica il meglio di questa globalizzazione musicale.
Montoya, cresciuto in Colombia e ora residente in Italia, fu iniziato alla musica come violinista classico. Esprime con entusiasmo la propria gratitudine per l’educazione ricevuta nell’adolescenza, a cui attribuisce un doppio merito: non solo quello di avergli mostrato interi mondi musicali a lui nuovi, ma anche quello di avergli permesso di viaggiare e di assaggiare culture diverse sin da una giovane età, suonando in teatri per orchestra rinomati, quali il Gran Teatro de La Habana di Cuba e il Musikverein di Vienna. La formazione classica di Montoya ha naturalmente plasmato il suo approccio inclusivo (e metodicamente esigente) alla composizione e produzione di brani.
Il percorso di Montoya lo indirizzò ad unirsi a Fabrica, “centro di sovversione culturale” a Treviso. Il centro gli offrì un spazio creativo che gli permise di sperimentare arte, fotografia, film e design; l’influenza di tale sperimentazione risulta evidente nella qualità quasi cinematografica della sua musica.
La musicalità pan-internazionale di Montoya affonda le sue radici nella diaspora musicale della Colombia, sua terra nativa. Tale diaspora è vasta e variegata: la musica folk indigena, proveniente dalle tribù amazzoniche e andine; la sintesi cosmopolita del moderno reggaeton e della salsa tradizionale di Bogotà e Medellín; così come le sonorità afro-caraibiche di Cumbia e Champeta.
Grazie alla fusione del suo metodo di lavoro maturato tramite l’educazione classica, della curiosità innata per la musica a 360 gradi, e della passione per l’elettronica melodica, la sua discografia è caratterizzata tanto dalla ricercatezza quanto da una familiarità confortante; tanto desiderosa di armonie accattivanti quanto mescolanza concettuale di folk latino ed elettronica moderna.
L’arista stesso confessa che il modo in cui scrive musica trae ispirazione dal suo amore per la cucina: “Adoro come certi chef riescono a trovare delle combinazioni che ti fanno pensare, ‘ma siete pazzi?!’. Mi piace immaginarmi come uno chef che sceglie i propri ingredienti (nel mio caso, voci indigene, tecno, IDM) e si ingegna a combinarli, attraverso un processo creativo che mi permette di arrivare al risultato finale”.
Fino ad ora, con il nome di Montoya, l’artista ha prodotto i coinvolgenti album Iwa (2015) ed Ep Lux (2016), in cui si percepisce il perfezionamento delle sue abilità per combinare ingredienti quali l’indigeno e l’elettronico. Ha anche firmato il remix “Cumbia del Olvido” del talentuoso artista ecuadoriano Nicola Cruz, aggiungendo un ulteriore strato melodico con un distensivo arrangiamento d’archi. Inoltre, ha suonato al Sonar Bogotà e Musicbox di Lisbona, e in vari festival italiani e europei.
Tuttavia è il suo ultimo album, Otun, che promette di affermarlo musicalmente nel continente e di rappresentare la sua migliore produzione fino ad ora. Si tratta di un piatto gourmet, piccante e gustoso, a cui Richard Blair, produttore britannico in Colombia, aggiunge i tocchi finali da perfetto sous chef.
In Otun, l’ampiezza delle influenze e dei gusti di Montoya raggiunge i suoi massimi vertici. Il melodioso ronzio tecno de “La Pastora” è punteggiato da briosi flauti e percussioni, mentre il singolo “Solo Quiero” arruola un languido schema reggaeton sotto le note sfumate e colorate dalla voce di Pedrina, stella nascente di Bogotà, anticipando così un climax euforico, guidato dal sintetizzatore. Il brano che dà il nome all’album, impreziosito dalla sontuosa voce di Nidia Góngora, è un agguerrito e vigoroso canto funebre, amplificato da sibilanti synth-pads e sordidi breakbeats. Perfino un brano più propriamente tecno come “Tatacoa” è stilizzato da inebrianti campioni vocali indiani, mentre scelte di stampo più tradizionalmente folk come “Orun” usano comunque un sottile drone di basso.
La tavolozza sonora di Montoya è espansiva e curiosa, ma sempre coerente: in Otun, l’artista mantiene una linea elettronica costantemente melodica per l’intera durata dell’album.
Montoya si inserisce egregiamente nel curriculum della ZZK, piattaforma di lancio per gli artisti più entusiasmanti e creativi di elettronica dall’America latina, e si unisce così allo storico retaggio già costruito nel tempo da nomi quali Nicola Cruz, Chancha Via Circuito, e King Coya. Dalle intricate tessiture dei suoi sintetizzatori, alla bellezza analogica del suo violino, ciò che unifica la strumentazione di Montoya è la sua candida espressione di esperienze, idee e sogni: “Voglio cibarmi di tutte queste emozioni, per comporre e mettere in musica tutto il mio vissuto”.
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