Cummi Flu, pseudonimo dietro il quale si cela il fuoriclasse belga Oliver Doerell, già metà degli Swod su City Centre Office, poi in gruppo con i Dictaphone ed ancora in formazione con il progetto Raz Ohara And The Odd Orchestra. La sua carriera è stata spesso assimilata erroneamente all’universo stilistico della musica elettronica tout court, mentre l’artista ostenta una mentalità jazz-open dalle infinite gradazioni artistico-creative, capace di dialogare con il pop e l’avantgarde con la stessa padronanza intellettuale.
Cummi Flu è la nuova creatura dove Doerell adagia tentazioni tribal-etniche su tappeti elettronico-percussivi che profumano di Africa, India e glitch-pop, nulla in comune con la club-music dei decenni scorsi, piuttosto un appassionato recupero della metodologia creativa che sconvolse l’Europa sull’onda delle migliori istanze della new wave.
Le dissonanze tra acustica ed elettronica che Colin Newman tentò di introdurre nel pop inglese, il suono delle percussioni africane, nonché l’eleganza dei Tuxedomoon o dei Names sono gli elementi frammentariamente riconoscibili in “Z”; ma l’abito cucito da Doerell e dalla voce magnetica della ballerina e cantante indiana Lady Ived è originale e innovativo.
E’ una piacevole sensazione quella di poter parlare di musica tedesca affine all’elettronica, senza dover ricorrere ai termini cosmic-music o kraut, questo perché il progetto Cummi Flu offre una lettura più ampia e complessa, che affonda le sue radici nella musica europea e le sue contaminazioni offrono un variegato campionario di ritmi e melodie che a un primo ascolto appare leggermente disconnesso, per poi assumere i contorni di un viaggio sonoro tra le mura di un futuristico museo delle civiltà contemporanee.
E’ una vivace urban music dove le origini belghe di Doerell sono più evidenti che in passato, soprattutto per quella atmosfera crepuscolare che infetta gli electronic-treatments, ma è anche un bizzarro dj-set, dove le abat-jour sostituiscono i neon e le luci stroboscopiche.
“Z” riscopre il fascino della fusione tra techno e world music che Hector Zazou elevò ad arte sopraffina o che i Minimal Compact arricchirono di poesia, alternando downtempo leggermente trip-hop adagiati su una struggente fisarmonica (“B”) a briciole di gothic-folk in salsa tribale (“J”) senza tralasciare elementi onirici e psichedelici (“Gulabigang”).
La musica di Doerell riesce a descrivere la transumanza etnica dei nostri giorni senza cadere nei luoghi comuni di molte contaminazioni tra ritmo ed elettronica che hanno invaso il mercato negli ultimi anni. Lo stupore e la contemplazione danno vita a nuove forme di glitch (“154”) e di etno-beat (“Watersong”) aprendo nuove frontiere e regalandoci un album stimolante e raffinato come pochi.
(bio e recensioni tratte da ondarock e electronique.it)