Dallo spirito avanguardista dei Red Red Meat all'Americana destrutturata dei Califone, le metamorfosi musicali di Tim Rutili hanno sempre avuto un punto in comune: il legame con le radici, frammentate e ricomposte secondo una sensibilità tutta post-moderna. Fino a far divenire le sue visioni in chiave folk un vero e proprio punto di riferimento nel connubio tra tradizione e sperimentazione
"Un altro memorabbile capitolo nella storia della folksong americana" (Elio Bussolino, Rockerilla, su Stitches)
Il ritorno di Tim Rutili e dei suoi Califone porta il titolo di ‘Stitches’, una moltitudine di immagini evocative, idee e suoni, oltre i confini noti del roots-rock. La traccia che dona il titolo all’album è stata già lanciata in esclusiva dal media Pitchfork e presenta la bella interpretazione di Jessie Stein (The Luyas) alla voce. Non si è certo nascosto Rutili in questi anni e la lunga pausa che ci ha separati dal disco del 2009 ‘All Of My Friends Are Funeral Singers’, non deve certo trarre in inganno. Oltre ad aver curato colonne sonore per alcune produzioni cinematografiche indipendenti, nel 2012 si è occupato delle musiche del documentario ‘Beauty Is Embarrassing’ e della serie su Starz TV ‘Boss’.
In quel periodo tutte le attività dei Califone furono congelate per circa un anno. Poi, per incanto, il nostro si risveglia – come da un temporaneo letargo – e riprende a scrivere canzoni a getto, alcune delle quali avrebbero poi trovato spazio in ’Stitches’. Durante questo processo Tim inizia a guardarsi più intimamente, alla ricerca di una voce più onesta. Nel fare questo anche il suo songwriting è cresciuto in maniera esponenziale, un rituale che lo ha visto produrre un corpo davvero sostanzioso di brani. Un lavoro concepito lontano dalla sua Chicago – dice Rutili – che ha iniziato a registrare con Griffin Rodriguez a Los Angeles, Michael Krassner a Phoenix e Craig Ross ad Austin, portando con sé una serie nutrita di collaboratori.
Timbri spesso intimi - drum machine comprate ad una svendita locale, corde di chitarra consumate, voci fumose – sostengono l’inclinazione cinematica del lavoro. L’ascoltatore si troverà così per incanto in scenari da vecchio testamento, tra sangue e viscere, ed ambientazioni desertiche in stile spaghetti Western. Polvere ed ombre che danzano in prospettiva di un tramonto. Fiati, pedal steel ed archi colorano i contorni di composizioni quali ‘Frosted Tips’, ‘We Are A Payphone’, ‘Moonbath.brainsalt.a.holy.fool’ e ‘Moses’. Come se Ennio Morricone incontrasse lo Jodorowsky di ‘El Topo’. Rutili ci tiene a far sapere che ogni canzone rappresenta un singolo universo. Tanto che il coinvolgere diversi musicisti in diversi luoghi ha aiutato ad innalzare la tensione delle singole composizioni. Una volontà quasi schizofrenica, che l’autore principe non ha fatto davvero nulla per nascondere.
Dallo spirito avanguardista dei Red Red Meat all'Americana destrutturata dei Califone, le metamorfosi musicali di Tim Rutili hanno sempre avuto un punto in comune: il legame con le radici, frammentate e ricomposte secondo una sensibilità tutta post-moderna. Fino a far divenire le sue visioni in chiave folk un vero e proprio punto di riferimento nel connubio tra tradizione e sperimentazione
"Un altro memorabbile capitolo nella storia della folksong americana" (Elio Bussolino, Rockerilla, su Stitches)
Il ritorno di Tim Rutili e dei suoi Califone porta il titolo di ‘Stitches’, una moltitudine di immagini evocative, idee e suoni, oltre i confini noti del roots-rock. La traccia che dona il titolo all’album è stata già lanciata in esclusiva dal media Pitchfork e presenta la bella interpretazione di Jessie Stein (The Luyas) alla voce. Non si è certo nascosto Rutili in questi anni e la lunga pausa che ci ha separati dal disco del 2009 ‘All Of My Friends Are Funeral Singers’, non deve certo trarre in inganno. Oltre ad aver curato colonne sonore per alcune produzioni cinematografiche indipendenti, nel 2012 si è occupato delle musiche del documentario ‘Beauty Is Embarrassing’ e della serie su Starz TV ‘Boss’.
In quel periodo tutte le attività dei Califone furono congelate per circa un anno. Poi, per incanto, il nostro si risveglia – come da un temporaneo letargo – e riprende a scrivere canzoni a getto, alcune delle quali avrebbero poi trovato spazio in ’Stitches’. Durante questo processo Tim inizia a guardarsi più intimamente, alla ricerca di una voce più onesta. Nel fare questo anche il suo songwriting è cresciuto in maniera esponenziale, un rituale che lo ha visto produrre un corpo davvero sostanzioso di brani. Un lavoro concepito lontano dalla sua Chicago – dice Rutili – che ha iniziato a registrare con Griffin Rodriguez a Los Angeles, Michael Krassner a Phoenix e Craig Ross ad Austin, portando con sé una serie nutrita di collaboratori.
Timbri spesso intimi - drum machine comprate ad una svendita locale, corde di chitarra consumate, voci fumose – sostengono l’inclinazione cinematica del lavoro. L’ascoltatore si troverà così per incanto in scenari da vecchio testamento, tra sangue e viscere, ed ambientazioni desertiche in stile spaghetti Western. Polvere ed ombre che danzano in prospettiva di un tramonto. Fiati, pedal steel ed archi colorano i contorni di composizioni quali ‘Frosted Tips’, ‘We Are A Payphone’, ‘Moonbath.brainsalt.a.holy.fool’ e ‘Moses’. Come se Ennio Morricone incontrasse lo Jodorowsky di ‘El Topo’. Rutili ci tiene a far sapere che ogni canzone rappresenta un singolo universo. Tanto che il coinvolgere diversi musicisti in diversi luoghi ha aiutato ad innalzare la tensione delle singole composizioni. Una volontà quasi schizofrenica, che l’autore principe non ha fatto davvero nulla per nascondere.