Colin Stetson

musicista
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Folgorazione. È ancora possibile, all'alba dell'anno 2011, sentire un disco che non assomiglia a nessun altro. Quando vi imbatterete nel nostalgico di turno convinto che, al solito, niente può più essere inventato, provate a mettergli sotto il naso questo disco. Si intitola New History Warfare Vol. 2: Judges. Lo firma un sassofonista originario di Ann Arbor, nel Michigan, ma di stanza a Montreal, in Canada, che risponde al nome di Colin Stetson, autore di un primo disco solista nel 2008 (New History Warfare Vol. 1) che passò quasi del tutto inosservato. Non lo stesso si può dire di questo suo ispiratissimo seguito, rimbalzato sui blog di mezzo mondo e giudicato, dai più, un'opera di sfavillante eloquenza sonora. Colin Stetson suona il sassofono basso, strumento inusuale ma con una sua storia che da Hector Berlioz arriva al jazz via Adrian Rollini (ma anche Coleman Hawkins) e, in tempi più recenti, a gente come Anthony Braxton o Hamiet Bluiett del World Saxophone Quartet. Stetson si è fin qui prevalentemente disimpegnato in qualità di uomo-sessione, come dicono gli americani, e preferibilmente in ambito di musica rock (Laurie Anderson, Tom Waits, Arcade Fire, The National, eccetera). Funzione che con ogni probabilità continuerà ad assolvere (e a dargli il pane) anche in futuro, restando i concerti di sassofono solo (e a maggior ragione quelli di sassofono basso) eventi che tendono a svuotare le sale anziché a riempirle. Quello che può fare uno come Colin Stetson è sfogarsi su disco. Lasciare che la sua creatività erompa e dilaghi come un fiume in piena dentro le accoglienti mura di uno studio d'incisione. È precisamente quanto accade su questo New History Warfare Vol. 2: Judges. Nel corso degli anni Colin Stetson ha sviluppato una tecnica allo strumento che gli consente di riprodurre i suoni più diversi, e spesso contemporaneamente, come se attraverso l'ancia non si limitasse ad emettere fiato dai polmoni, ma dirigesse, di fatto, un'intera orchestra. Stetson non si accontenta di suonare lo strumento; lo strilla, lo urla, lo percuote e lo umanizza come nessun altro, probabilmente, è mai stato in grado di fare prima di lui. Sulle note di copertina ci viene assicurato che il disco è stato inciso in presa diretta. Niente, cioè, è stato manipolato in seconda battuta. Per quanto vaccinati ad ogni sorta di stranezze sonore, risulta davvero difficile credere che Stetson sia in grado di produrre dei suoni simili con il suo strumento. Eppure, grazie all'impiego di ventiquattro microfoni posizionati con cura all'interno dello studio, direttamente sullo strumento, quando non addirittura sulla gola del musicista, si è riusciti a catturare delle esecuzioni che hanno del miracoloso. A tratti sembra che Stetson stia suonando due o tre distinte partiture su due o tre diversi strumenti, e lo sforzo fisico prodotto, in alcuni frangenti, è a tal punto integrato alla musica da diventare un fattore costitutivo dell'estetica stessa di ciò che viene suonato. Grazie a una sbalorditiva tecnica di respirazione circolare Stetson elabora un intricato profluvio di suoni che fungono al tempo stesso da propulsione ritmica, da fraseggio solistico e da progressione armonica, inaugurando una nuova sintassi che sta da qualche parte fra il free-jazz di ayleriana memoria, il minimalismo di Reich, il metal e le polluzioni distorte di Jimi Hendrix. La cosa davvero notevole è che l'arsenale timbrico di Stetson non è impiegato a scopo dimostrativo, ma viene di volta in volta messo al servizio di idee musicali di senso compiuto, alle quali episodicamente vengono chiamate a dare il proprio contributo le voci di Laurie Anderson o di Shara Worden (My Brightest Diamond). Ragioni di spazio e di tempo impediscono di profondersi oltre, ma rinviamo senz'altro alla grande rete, dove è possibile immergersi nelle più diverse analisi di quello che, a nostro personale giudizio, si presenta come uno dei dischi più ispirati e stimolanti di questo 2011. Da ascoltare assolutamente, fosse solo per dare disturbo ai vicini di casa. http://colinstetson.com/

Folgorazione. È ancora possibile, all'alba dell'anno 2011, sentire un disco che non assomiglia a nessun altro. Quando vi imbatterete nel nostalgico di turno convinto che, al solito, niente può più essere inventato, provate a mettergli sotto il naso questo disco. Si intitola New History Warfare Vol. 2: Judges. Lo firma un sassofonista originario di Ann Arbor, nel Michigan, ma di stanza a Montreal, in Canada, che risponde al nome di Colin Stetson, autore di un primo disco solista nel 2008 (New History Warfare Vol. 1) che passò quasi del tutto inosservato. Non lo stesso si può dire di questo suo ispiratissimo seguito, rimbalzato sui blog di mezzo mondo e giudicato, dai più, un'opera di sfavillante eloquenza sonora. Colin Stetson suona il sassofono basso, strumento inusuale ma con una sua storia che da Hector Berlioz arriva al jazz via Adrian Rollini (ma anche Coleman Hawkins) e, in tempi più recenti, a gente come Anthony Braxton o Hamiet Bluiett del World Saxophone Quartet. Stetson si è fin qui prevalentemente disimpegnato in qualità di uomo-sessione, come dicono gli americani, e preferibilmente in ambito di musica rock (Laurie Anderson, Tom Waits, Arcade Fire, The National, eccetera). Funzione che con ogni probabilità continuerà ad assolvere (e a dargli il pane) anche in futuro, restando i concerti di sassofono solo (e a maggior ragione quelli di sassofono basso) eventi che tendono a svuotare le sale anziché a riempirle. Quello che può fare uno come Colin Stetson è sfogarsi su disco. Lasciare che la sua creatività erompa e dilaghi come un fiume in piena dentro le accoglienti mura di uno studio d'incisione. È precisamente quanto accade su questo New History Warfare Vol. 2: Judges. Nel corso degli anni Colin Stetson ha sviluppato una tecnica allo strumento che gli consente di riprodurre i suoni più diversi, e spesso contemporaneamente, come se attraverso l'ancia non si limitasse ad emettere fiato dai polmoni, ma dirigesse, di fatto, un'intera orchestra. Stetson non si accontenta di suonare lo strumento; lo strilla, lo urla, lo percuote e lo umanizza come nessun altro, probabilmente, è mai stato in grado di fare prima di lui. Sulle note di copertina ci viene assicurato che il disco è stato inciso in presa diretta. Niente, cioè, è stato manipolato in seconda battuta. Per quanto vaccinati ad ogni sorta di stranezze sonore, risulta davvero difficile credere che Stetson sia in grado di produrre dei suoni simili con il suo strumento. Eppure, grazie all'impiego di ventiquattro microfoni posizionati con cura all'interno dello studio, direttamente sullo strumento, quando non addirittura sulla gola del musicista, si è riusciti a catturare delle esecuzioni che hanno del miracoloso. A tratti sembra che Stetson stia suonando due o tre distinte partiture su due o tre diversi strumenti, e lo sforzo fisico prodotto, in alcuni frangenti, è a tal punto integrato alla musica da diventare un fattore costitutivo dell'estetica stessa di ciò che viene suonato. Grazie a una sbalorditiva tecnica di respirazione circolare Stetson elabora un intricato profluvio di suoni che fungono al tempo stesso da propulsione ritmica, da fraseggio solistico e da progressione armonica, inaugurando una nuova sintassi che sta da qualche parte fra il free-jazz di ayleriana memoria, il minimalismo di Reich, il metal e le polluzioni distorte di Jimi Hendrix. La cosa davvero notevole è che l'arsenale timbrico di Stetson non è impiegato a scopo dimostrativo, ma viene di volta in volta messo al servizio di idee musicali di senso compiuto, alle quali episodicamente vengono chiamate a dare il proprio contributo le voci di Laurie Anderson o di Shara Worden (My Brightest Diamond). Ragioni di spazio e di tempo impediscono di profondersi oltre, ma rinviamo senz'altro alla grande rete, dove è possibile immergersi nelle più diverse analisi di quello che, a nostro personale giudizio, si presenta come uno dei dischi più ispirati e stimolanti di questo 2011. Da ascoltare assolutamente, fosse solo per dare disturbo ai vicini di casa. http://colinstetson.com/

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