Prendete un angolo d’America industriale e bigotto, aggiungete una buona dose di garage-rock e una psiche umana malinconica e tormentata. Condite il tutto con dissonanze, rumorismi e un pizzico di psichedelia e cucinate infine questo bizzarro mix nel creativo mood di fine anni settanta.

Il risultato? In termini musicali avrete quel faraonico cortocircuito che si chiama Pere Ubu.

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Nati a metà degli anni settanta in una cupa Cleveland in pieno collasso economico, per iniziativa di David Thomas, performer eclettico dalla voce prodigiosa, i Pere Ubu sono stati il gruppo più originale della new wave e forse uno dei più grandi in assoluto.

Il loro primo singolo, “30 Seconds Over Tokio/Heart Of Darkness” (1975), rigorosamente autoprodotto, è il loro manifesto: rumoroso e sgraziato, degenerato e alienante, denso di frammenti psichedelici e di quella carica visionaria che caratterizza il sound del gruppo.
Gli fa eco, un anno dopo, il secondo singolo, “Final Solution/Cloud 149“, che con il refrain da olocausto “I don’t need a cure/ I need a final solution”, sintetizza il masochismo di una generazione in anemia esistenziale.

 

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Nel 1978, tra un’overdose (Peter Laughner, l’anima surreale del gruppo) e una defezione (il bassista Tim Wright), arriva The modern dance, album che in poco più di mezz’ora si autoproclama uno dei capolavori musicali del secolo scorso.
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Da lì in avanti, la carica artistica del gruppo è inarrestabile: Dub Housing è del 1978, New Picnic Time del 1979, The Art of walking del 1980, Song Of The Bailing Man del 1982. Poi una breve pausa e, nel 1988, la rinascita della band, a cui fanno seguito gli album Tenement Of The Year, Cloudland, Worlds In Collision, The Story Of My Life e Ray Gun Suitcase, portatori di una sensibilità più pop o, forse, semplicemente più rassegnata.

Nel 1998 è la volta di Pennsylvania, poi St Arkansas (2002), Why I hate Women (2006) e Lady from Shanghai (2013), quest’ultimo dalle sonorità leggermente danzerecce.

 

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Carnival of souls esce nel 2014, a distanza di quasi trent’anni dal primo album, a dimostrazione che i Pere Ubu vogliono ancora dire la loro.
E se non avete mai assistito ad una delle loro devastanti performance, con quel clima da esaurimento nervoso, i testi farneticanti e le cacofonie di stampo Beefheartiano, noi vi consigliamo di starli a sentire con il cuore e le orecchie bene aperti.

ECCO QUA LE DATE DEI CONCERTI

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