SPLATTERPINK

gruppo musicale
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Il bassista Diego D’Agata forma gli Splatterpink a Bologna nel 1990. A line-up stabilizzata (D’Agata, Federico Bernardi, Alessandro Meroli, Leonardo Saracino), il complesso entra in studio per registrare il debutto ufficiale. “Industrie Jazzcore” (1994) importa, di nome e di fatto, il jazzcore USA in Italia. I garbugli di basso elettrico di Les Claypool, i controtempi spastici e dinamici di batteria, la chitarra dissonante, il nuovo uso del sax alla maniera di John Zorn e Universal Congress, e non ultimo il canto istrionico dello stesso D’Agata, risuonano dunque filtrati nella tensione progressiva del jazz-rock italico diArea e affini.

Con questo disco la formazione si candida a nuovo nome di punta dell’underground bolognese e della scena indipendente italiana della seconda metà dei 90. Il seguito “Nutrimi” (1997) è una maratona straripante che incrementa le dosi di cacofonia e di delirio Patton-iano, mentre il più contenuto “#3” (2001) è affossato da una cattiva di produzione che spesso asfalta la voce di D’Agata e attenua la spettacolarità che il nuovo batterista Christian Rovatti cerca d’impartire.
Qui la band cessa le attività, ma un nuovo acuto D’Agata lo realizza con il progetto Testadeporcu, affiancato soltanto da Claudio Trotta, batterista proveniente dai Deus Ex Machina, il cui unico parto “Acciaiu” (2005) sterza alla violenza nucleare dello zeuhl dei Ruins.

Segue un nuovo lungo silenzio, interrotto solo dal cameo di D’Agata in “Epyks” degli Eterea. Si inizia a sentire aria di riscoperta soltanto nel 2013, con la compilation “Fonderie Jazzcore”. D’Agata alla fine riforma gli Splatterpink che realizzano così l’album della rentrée, “Mongoflashmob”.
Il comizio nevrotico a più voci sostenuto dall’azione compatta di sax-chitarra-basso in “Uwe Boll Limericks Trips” entra in un continuo cortocircuito di cambi di tempo e frenate assassine; soprattutto, è una gran botta di adrenalina che sembra uno sfogo di vitalità della band dopo tanti anni di letargo. Così la declamata, surreale dedica di “Sting”, formulata da bassista bandleader a bassista bandleader (Police), è spalleggiata da un lanciatissimo thrash-metal, e l’isteria Beppe Grillo-esca di “Leccaculo” si appoggia a un andamento spasmodicamente sbrindellato.

Altri episodi convincenti sono “Terratron”, boogie slam-dance che si arricchisce di effetti demoniaci da colonna sonora dei Goblin e “Dolan Aproevd”, ballabile dark il cui “ritornello” è fatto di esplosioni strumentali e sfuriate vocali. Il conguaglio di numeri strumentali da circo in velocità alla Mr Bungle di “Mortal Jodel” si raffina e approfondisce nella jam bebop di “Autocit.”, sorta di frankenstein in cui le due identità, jazz e metal, lottano e scalpitano per accaparrarsi la scena.

Il bassista Diego D’Agata forma gli Splatterpink a Bologna nel 1990. A line-up stabilizzata (D’Agata, Federico Bernardi, Alessandro Meroli, Leonardo Saracino), il complesso entra in studio per registrare il debutto ufficiale. “Industrie Jazzcore” (1994) importa, di nome e di fatto, il jazzcore USA in Italia. I garbugli di basso elettrico di Les Claypool, i controtempi spastici e dinamici di batteria, la chitarra dissonante, il nuovo uso del sax alla maniera di John Zorn e Universal Congress, e non ultimo il canto istrionico dello stesso D’Agata, risuonano dunque filtrati nella tensione progressiva del jazz-rock italico diArea e affini.

Con questo disco la formazione si candida a nuovo nome di punta dell’underground bolognese e della scena indipendente italiana della seconda metà dei 90. Il seguito “Nutrimi” (1997) è una maratona straripante che incrementa le dosi di cacofonia e di delirio Patton-iano, mentre il più contenuto “#3” (2001) è affossato da una cattiva di produzione che spesso asfalta la voce di D’Agata e attenua la spettacolarità che il nuovo batterista Christian Rovatti cerca d’impartire.
Qui la band cessa le attività, ma un nuovo acuto D’Agata lo realizza con il progetto Testadeporcu, affiancato soltanto da Claudio Trotta, batterista proveniente dai Deus Ex Machina, il cui unico parto “Acciaiu” (2005) sterza alla violenza nucleare dello zeuhl dei Ruins.

Segue un nuovo lungo silenzio, interrotto solo dal cameo di D’Agata in “Epyks” degli Eterea. Si inizia a sentire aria di riscoperta soltanto nel 2013, con la compilation “Fonderie Jazzcore”. D’Agata alla fine riforma gli Splatterpink che realizzano così l’album della rentrée, “Mongoflashmob”.
Il comizio nevrotico a più voci sostenuto dall’azione compatta di sax-chitarra-basso in “Uwe Boll Limericks Trips” entra in un continuo cortocircuito di cambi di tempo e frenate assassine; soprattutto, è una gran botta di adrenalina che sembra uno sfogo di vitalità della band dopo tanti anni di letargo. Così la declamata, surreale dedica di “Sting”, formulata da bassista bandleader a bassista bandleader (Police), è spalleggiata da un lanciatissimo thrash-metal, e l’isteria Beppe Grillo-esca di “Leccaculo” si appoggia a un andamento spasmodicamente sbrindellato.

Altri episodi convincenti sono “Terratron”, boogie slam-dance che si arricchisce di effetti demoniaci da colonna sonora dei Goblin e “Dolan Aproevd”, ballabile dark il cui “ritornello” è fatto di esplosioni strumentali e sfuriate vocali. Il conguaglio di numeri strumentali da circo in velocità alla Mr Bungle di “Mortal Jodel” si raffina e approfondisce nella jam bebop di “Autocit.”, sorta di frankenstein in cui le due identità, jazz e metal, lottano e scalpitano per accaparrarsi la scena.

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Provenienza
Bologna (BO)
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Inserito da
calamity jane circa 9 anni fa